domenica 24 novembre 2013
sabato 23 novembre 2013
venerdì 22 novembre 2013
Cinquanta anni di storia
Con l’intelligenza del cuore
Cinquanta anni di storia scritta alla luce della fede in una periferia della città di Como
Negli anni sessanta attorno alla città di Como nascevano i nuovi quartieri. Nelle case popolari che sorgevano nella periferia entravano famiglie originarie di diverse regioni italiane: non si trattava di un’immigrazione diretta perché la maggior parte di questi nuclei familiari era arrivata in anni precedenti nel comasco e lo spostamento nei nuovi quartieri era il segno di una migliore condizione di vita. Sulla cintura della città prendeva dimora un’umanità dai molti colori culturali, sociali e religiosi. La sfida per tutti, istituzioni comprese, era quella di creare buone relazioni tra le diversità che si trovavano a convivere nello stesso territorio. La Chiesa di Como non esitò a “farsi prossimo” di quella umanità e diede vita alle parrocchie della periferia. Tra queste la parrocchia dei santi Felice e Francesco in Prestino che, eretta il 28 dicembre 1963, compie cinquanta anni.
Il parroco in piazza. Nel costruire gli alloggi a Prestino l‘Istituto autonomo case popolari (Iacp) pensò di destinare un piccolo fabbricato ad uso religioso e così il quartiere ebbe la sua chiesetta che da una leggero pendìo guardava e custodiva il quartiere. Qui il 3 luglio 1964 arrivò il primo parroco, don Giambattista Levi (don Tito) e in quel giorno cominciò, in una periferia della città, un’avventura cristiana che continua oggi in una realtà sociale diversa ma sempre ricca di attese, di preoccupazioni e di speranza. Il primo gesto del parroco, dopo la messa che segnava l’inizio del suo servizio pastorale, fu quello di raggiungere la piazzetta centrale del quartiere per stringere la mano a quanti incontrava. Fu subito chiaro lo stile che avrebbe caratterizzato la parrocchia: apertura, accoglienza, condivisione. Fu subito chiaro che l’intelligenza del cuore avrebbe mosso i pensieri e i passi di questa comunità. E i primi ad accorgersi sarebbero stati i ragazzi coinvolti con entusiasmo nel catechismo, nel doposcuola e nella grande festa annuale dedicata a loro.
Il linguaggio della vita. Si cominciò dalla chiesetta , dai piccoli locali sottostanti e perfino dallo spiazzo antistante dove era tesa la rete per la pallavolo: una povertà gioiosa, una quotidiana presenza che, alimentata dalla preghiera, diventava vicinanza alla gente che scopriva nella parrocchia il luogo degli incontri e dell’Incontro. Sapevano tutti che lì c’era un prete che avrebbe ascoltato, avrebbe condiviso, avrebbe indicato un percorso interiore, avrebbe aperto orizzonti di speranza nei momenti più difficili. Un prete che avrebbe parlato di Dio con il linguaggio semplice ed essenziale della vita. Un prete che avrebbe preso a cuore i problemi concreti della gente al punto di sostenere l’idea di istituire il Consiglio spontaneo di quartiere. C’erano con lui i laici, soprattutto giovani, che si sentivano chiamati e impegnati non come collaboratori ma come corresponsabili di scelte importanti, in coerenza con il messaggio del Concilio. La parrocchia di Prestino prendeva forma grazie al vento del Concilio che soffiava tra i pini dietro la piccola chiesa e vi entrava diventando, tra l’altro, preghiera e canto di popolo. “Cantare è pregare due volte” era la frase che il parroco amava ripetere anche per dire che la vita di una cristiano e la vita di una comunità cristiana sono un inno di lode al Signore.
Una storia di volti. La storia di una parrocchia è fatta di comunicazione tra volti e di comunicazione tra i volti e il Volto. Ecco il filo rosso che ha unito e unisce il servizio quarantennale di don Tito a quelli di don Marco, il parroco attuale, e degli altri due parroci , don Italo e don Sergio, nonché dei tre sacerdoti vicini alla comunità: don Agostino, don Teresio e don Angelo. Ma è anche il filo rosso che ha unito e unisce l’impegno dei sacerdoti a quello di molti laici attivi nella comunità parrocchiale e, soprattutto, nelle diverse espressioni della società, della professione e anche della politica. Qui è stata importante e incisiva l’esperienza scout che si è innestata nella vita della parrocchia perché più sapore avessero i frutti di entrambe. Questo un capitolo merita un approfondimento perché la scelta compiuta ha segnato una grande novità per lo scoutismo e per la comunità.
Una croce che interroga. Ecco, infine, la nuova chiesa consacrata l’8 ottobre 1972: una tenda bianca sul prato tra il bosco e la strada. Una costruzione orizzontale a rappresentare la dimensione umana della comunità, un campanile stilizzato a indicare il cielo, un verde rigoglioso a esprimere l’abbraccio della natura. All’interno della chiesa un altro frutto del dialogo tra fede e arte che in don Tito e nell’ing. Armen Manoukian aveva avuto due protagonisti. Molta luce, molto bianco, due ingressi che fanno puntare lo sguardo sul tabernacolo e sull’altare, le vetrate che giocano con le luci dell’alba e del tramonto. Si dovrà tornare su questa bellezza interiore ma un accenno alla croce senza il crocifisso è importante perché in questa “assenza” c’è un messaggio che ha attraversato i cinquanta anni della parrocchia esprimendosi anche nella Via Crucis vissuta ogni anno lungo le strade del quartiere. Quel posto sulla croce appare vuoto ma non lo è affatto. Il Crocifisso non è assente, prende il volto di ogni uomo e di ogni donna che vivono con la consapevolezza che dopo la croce ci sono un sepolcro vuoto e la luce di un giorno senza tramonto. Cinquant’anni sono dentro questa luce, farne memoria significa tenerla accesa con quell’ l’intelligenza del cuore che va oltre il tempo.
Paolo Bustaffa